Luigi Spagnol, autore de “I Santi di Satana”di Marilù Oliva. 18 ottobre 2011
«Il corpo mummificato di Alhazred fu trovato una decina di anni fa nel deserto vicino allo ziggurat rovesciato dove avete avuto quella spiacevole esperienza. La salma aveva un gran numero di mutilazioni. Certamente si trattò di un omicidio rituale, di un sacrificio umano».
La citazione è tratta dal libro “I santi di Satana” (Piemme, 2011) e questo è uno dei misteri in cui incappa Alvise Prosdocimi, eminente studioso di Storia delle religioni, giunto a Sana’a per alcune ricerche sulla regina di Saba, e qui storia e avventura si mescolano sapientemente in un suggestivo affresco di vicende e paesaggi. Con sé porta una madre, la classica mater rompiscatole e impicciona, che dopo un incidente, viene ritrovata in uno stato confusionale alquanto strano dato che parla in una lingua incomprensibile.
Mentre nello Yemen Alvise Prosdocimi si invischia in arcani dal sapore magico, storico e rcheologico, dall’altro capo del mondo, a New York per la precisione, l’ex boss della Sacra Corona Unita Pietro Rodano, dopo aver assistito al massacro di un’intera famiglia mentre cenava al ristorante con l’inquieta figlia, si rende conto che il passato torna in qualche modo a bussargli alla porta. E nel frattempo la figlia sparisce. I due protagonisti del precedente — e primo — romanzo La Signora della notte (sempre edito da Piemme) sono destinati a incontrarsi di nuovo in questo bel romanzo ritmato da imprevisti, località diverse, colpi di scena, ma anche arricchito di cultura, monumenti, e da una scrittura scorrevole e piacevole. Per parlare di I santi di Satana, ma non solo, ho intervistato l’autore, Luigi Spagnol, bassanese, classe 1955, sceneggiatore, scrittore e regista.
Intercorre tra Pietro Rodano e Alvise Prosdocimi, personaggi agli antipodi già incontrati nel tuo primo romanzo “La Signora della notte”, una complementarietà morale e funzionale al romanzo?
Pietro Rodano e Alvise Prosdocimi sono una coppia e in ogni coppia affiatata, nella narrativa come nel cinema, c’è o dovrebbe esserci tutto: amore, odio, complicità, tenerezza, instabilità, gelosia, dramma, commedia. Questi due, il mafioso e lo storico, non potrebbero essere più diversi, quindi si, sono assolutamente complementari. Ma in modo abbastanza elastico; a un certo punto della storia l’intransigenza morale dell’uno si trasferirà all’altro; in compenso si troveranno entrambi in balia del loro lato oscuro
Parte del libro scorre in suggestive ambientazioni yemenite, il lettore s’immagina che tu abbia fatto un viaggio in quel posto. Cosa ricordi dello Yemen, oltre alle belle righe che il lettore troverà?
Sono un viaggiatore pigro, quindi mi devo documentare. Usando però solo lo stretto necessario, perché credo che le descrizioni degli ambienti debbano essere essenziali, funzionali alla storia, soprattutto in un thriller. Per entrare “naturalmente” nei luoghi, nelle atmosfere e nei personaggi, e restarci a lungo, ci vogliono le immagini giuste: puoi aver viaggiato una vita e non sapere dove andarle a cercare.
Il libro scorre veloce grazie a una sapiente costruzione e a un’ottima resa dei personaggi. Come procedi nella stesura?
Parto da una scaletta di ferro e dopo un paio di capitoli seguo i personaggi, che hanno le loro esigenze e non dormono mai.
Esiste un’esigenza letteraria rapportata al contesto storico? Adesso cosa si preferisce leggere e perché?
Esistono le mode, che a volte si traducono in titoli accattivanti ma ripetitivi fino alla noia e magari anche poco pertinenti al testo. Però nelle classifiche settimanali dei libri più venduti spesso la metà sono buoni, e i classici non smettono mai di vendere.
Come pensi si sia evoluta la tua scrittura, rispetto agli esordi?
Sono più veloce, ho le idee più chiare, butto via meno roba.
Cosa ne pensi dell’etichetta data ai generi, che li suddivide in piani alti e sottocategorie più popolari?
Penso che ancora oggi alcuni critici vomitino se sentono dire che Scerbanenco ha raccontato la società italiana del suo tempo meglio di tanti grossi calibri della nostra letteratura e che Simenon è stato un grandissimo scrittore anche con il solo Maigret.
Come si concilia e come si condizionano a vicenda, il tuo lavoro di sceneggiatore e quello di scrittore?
Il romanziere si può permettere delle libertà che lo sceneggiatore neppure si sogna.
Ma il bisogno di costruire strutture solide e trame accurate credo venga dal mio mestiere di sceneggiatore. In generale quando lavoro a un romanzo sto molto più attento all’uso delle parole.
A cosa stai lavorando, ora?
Un thriller ambientato quasi tutto in Italia, con personaggi nuovi, tosti e spero simpatici come Rodano e Prosdocimi; sto poi rivedendo quello che ritengo il mio romanzo (inedito) migliore: una storia di passione dai sapori acri fra un bombarolo anarchico e una ostessa nel Veneto prima fascista poi democristiano. Ho inoltre finito di montare un film liberamente ispirato ai temi e ai personaggi de “La metamorfosi” di Kafka. Si intitola “Dopo la metamorfosi” e l’ho anche prodotto. Presto inizierò a girarne un altro.
Ci saluti con una citazione dal libro?
“I santi di Satana, Signor Rodano” continuò padre Ruiz, “anche se mi ripugna dirlo sono degli asceti, votati al male anziché al bene, ma pur sempre degli asceti. Un’ elite dedita a pratiche sciamaniche di natura diabolica, medium che operano malvagiamente in astrale. Le incombenze minori sono delegate a una schiera di intermediari, mestatori e comuni assassini conquistati alla loro causa.”
Fonte: Thriller Magazine